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CANTON TICINO - 09-12-2022 -- I laghetti alpini sono fragili e minacciati dalle attività umane, anche quelle che si svolgono a migliaia di chilometri di distanza. La loro stessa fragilità ne fa un importante strumento per misurare l'impatto delle attività umane dove se da un lato ci sono parametri che migliorano (vedi le piogge acide), dall'altro andiamo incontro a eventi ancora imprevedibili determinati dai cambianti climatici.
Interessanti son gli esiti degli sondaggi su 20 laghetti alpini del Canton Ticino, effettuati nelle settimane scorse su mandato del Dipartimento del territorio dall’Ufficio dell’aria, del clima e delle energie rinnovabili (UACER) analizzando i principali parametri chimici. Un sondaggio che in parte ci racconta anche dello stato di salute dei laghetti sul nostro versante.

L’operazione rientra nel programma internazionale di cooperazione per la valutazione e il monitoraggio degli effetti dell’inquinamento atmosferico sulle acque superficiali (ICP Waters).
I prelievi hanno interessato le concentrazioni di pH, conducibilità, alcalinità, calcio, magnesio, sodio, potassio, solfato, nitrato, ammonio, nitrito, cloruro, fosforo, carbonio organico disciolto, silice e alcuni metalli e sono stati effettuati nei seguenti laghetti alpini: Lago del Starlaresc da Sgiof, Lago di Tomè, Lago dei Porchieirsc, Lago Barone, Laghetto Gardiscio, Lago della Capannina Leit, Lago di Morghirolo, Lago di Mognòla, Laghetto Inferiore, Laghetto Superiore, Lago Nero, Lago della Froda, Laghetto d'Antabia, Lago della Crosa, Lago d'Orsalìa, Schwarzsee, Laghi dei Pozzöi, Lago di Sfille, Lago di Sascòla, Lago d'Alzasca.

 

LA VITA RECUPERA
L’analisi dei dati raccolti evidenzia un progressivo recupero dall’acidificazione. Questa tendenza è positiva e rappresenta il presupposto per un recupero della vita ed è principalmente riconducibile alla riduzione delle emissioni di anidride solforosa.
Seppur la maggior parte dei laghi analizzati oggigiorno non siano più acidi, i modelli matematici attualmente a disposizione evidenziano come non siano ancora state raggiunte le condizioni preindustriali.

Il fenomeno dell’acidificazione delle acque superficiali è causato dall’inquinamento atmosferico e ha avuto il suo apice negli anni Ottanta del secolo scorso, con conseguenti effetti sulla biologia. Si pensi, per esempio, a dipendenza del grado di acidificazione, alla riduzione della diversità senza cambiamenti della biomassa totale, o, nei casi più estremi, all’eliminazione di tutti gli organismi.
La conclusione a cui giungono gli esperti svizzeri è che un recupero dall’acidificazione sarà in futuro possibile unicamente con un’ulteriore diminuzione delle emissioni degli ossidi di azoto.

I laghetti alpini
I laghetti alpini sono considerati i gioielli del panorama montano. Sono ecosistemi estremi, caratterizzati da basse temperature, povertà di nutrienti, lunghi periodi di oscurità invernale, seguiti da un breve periodo con radiazione ultravioletta molto elevata. La maggior parte dei laghi di montagna ha origine post-glaciale ed è presente sul territorio da alcune migliaia di anni. Alcuni si sono formati in tempi più recenti quale conseguenza del ritiro dei ghiacciai. A causa di tutti questi fattori, rispetto ai corpi d’acqua che si trovano ad altitudini inferiori, i laghi di montagna sono caratterizzati da una minore diversità biologica. Essi sono dunque ecosistemi particolarmente sensibili alle attività antropogeniche e, se da un lato possiamo considerare praticamente risolto il problema delle piogge acide, dall’altro lato le deposizioni di azoto sono tuttora troppo elevate e gli effetti del cambiamento climatico si cominciano solo ad intravedere. In tale contesto, l’attività dell’uomo, seppur apparentemente lontana geograficamente, lascia delle impronte anche ad altitudini molto elevate.

Ecosistema mutato a causa del cambiamento climatico
In tempi più recenti, la sensibile modifica dell’ecosistema dei laghetti alpini è riconducibile anche al cambiamento climatico. In particolare, il graduale scioglimento di ghiacciai rocciosi e di nevi perenni espongono alle intemperie nuove superfici rocciose contenenti minerali facilmente degradabili che possono raggiungere le acque superficiali. In questi casi si osserva spesso un aumento significativo soprattutto delle concentrazioni di calcio, magnesio e solfato. L’innalzamento della temperatura comporta, inoltre, un cambiamento della copertura dei suoli con una migrazione verso altitudini più elevate di molte specie vegetali. Non da ultimo, a causa degli inverni sempre più corti e miti, il periodo vegetativo si sta allungando. Questi fattori potrebbero portare ad un aumento della percentuale di azoto trattenuto nei bacini imbriferi e, di conseguenza, ad una diminuzione delle concentrazioni di azoto nelle acque superficiali. Diversamente, i modelli climatici prevedono in futuro precipitazioni meno frequenti ma più intense che potrebbero causare esattamente il contrario, cioè una diminuzione del quantitativo di azoto trattenuto dai suoli e di conseguenza un aumento delle concentrazioni di azoto nelle acque superficiali.

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